PA e Demansionamento: criteri per una corretta identificazione della fattispecie.

Il demansionamento nella PA

L’equivalenza delle mansioni del dipendente deve essere confermata anche in concreto.

 

L’art. 52 c.1 del d.lgs. 165/2001 afferma che: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 1, lettera a). L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione”.

Uno degli aspetti critici del testo di cui sopra è senz’altro la nozione di “mansioni equivalenti”.

Lo ius variandi della PA ha ad oggetto mansioni omogenee rispetto a quelle reputate equivalenti. La giurisprudenza afferma che dall’espressione: “tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili”, non si ricava senz’altro l’equivalenza e l’esigibilità di tutte le mansioni della stessa area o categoria, ma l’esigibilità delle mansioni dell’area in quanto professionalmente equivalenti[1].

Sul concetto di equivalenza, nel settore privato, è il giudice a valutare se determinate mansioni sono equivalenti, sulla base del bagaglio professionale necessario per svolgerle.

La giurisprudenza ha però ritenuto che in tema di pubblico impiego non si debba fare riferimento all’art. 2103 c.c., ma che esso venga disciplinato dal d.lgs.. 165/2001, che assegna rilievo al criterio dell’equivalenza formale, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità acquisita[2].

Per quanto concerne invece l’esigibilità di mansioni inferiori all’art. 52 del citato d.lgs. si sostiene che il dipendente pubblico debba “essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto”. Non compiendo quindi alcun tipo di previsione di utilizzo del dipendente pubblico per mansioni inferiori, viene preclusa la possibilità di richiedere mansioni ulteriori rispetto a quelle qualificanti e tipiche della professionalità acquisita, similmente a quanto previsto dall’art. 2103 c.c. L’attività prevalente del lavoratore deve quindi rientrare, come nel settore privato, tra le mansioni che corrispondono alla sua qualifica di appartenenza.

È possibile, tuttavia, richiedere al lavoratore, in maniera incidentale e marginale, attività che corrispondano a mansioni inferiori. Esse devono tuttavia essere mansioni di natura accessoria alla qualifica predominante. Si tratterebbe quindi di mansioni di natura preparatoria o strumentali alla mansione caratterizzante l’attività del dipendente, in modo che non si verifichi un pregiudizio alla sua professionalità[3].

Infine, è stato ritenuto che l'equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, ma devono essere volte a consentire la piena utilizzazione o l'arricchimento del patrimonio professionale dal lavoratore. Infatti, il divieto di demansionamento opera anche quando vengano assegnate al dipendente, mansioni formalmente equivalenti, ma che risultino di fatto inferiori. È quindi necessario che la valutazione delle mansioni affidate al dipendente non si limiti al solo aspetto formale, ma che tenga conto anche del livello professionale acquisito dal dipendente, in modo da salvaguardare le sue capacità e di consentire a quest’ultimo un ambiente lavorativo sano in grado di garantire la sua crescita professionale[4]. Allo stesso modo, qualora le mansioni ulteriori assegnate al dipendente comportino il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa, si dovrebbe escludere che esse possano essere equivalenti alle mansioni assegnate originariamente[5]

In sintesi, è necessario che l’equivalenza delle mansioni ulteriori non risulti da una semplice analisi formale del livello contrattuale, che costituisce senz’altro un primo e fondamentale livello di indagine, ma che essa venga confermata in concreto, avendo riguardo di elementi quali il grado di autonomia e di discrezionalità nell’esercizio delle mansioni, oltre che alla posizione del dipendente nel contesto organizzativo del lavoro[6].


Dott. Riccardo Fedrizzi

[1] Trib.  Vicenza 21 agosto 2001, in Lavoro nella giur. 2002, 356

[2] Cass., sez. lavoro, Sent. 7106/2014

[3] Cass., sez. lavoro, Sent. 17774/2006

[4] Cass., sez. lavoro, Sent. 13173/2009

[5] Cass., sez. Lavoro, Sent. 687/2014, Cass. ordinanza 11499/2022

[6] Trib. Milano Sent. 2593/2009